Cosa hanno in comune la musica e l’intelligenza artificiale? Molto più di quello che immaginate. Ce lo siamo fatti spiegare da Oberlunar, compositore e studioso dell’AI
Oberlunar, all’anagrafe Francesco Baldozzo, è un musicista, ma anche uno studioso dell’AI (Artificial Intelligence) che è riuscito ad unire le sue due più grandi passioni, musica e AI, in una maniera così naturale da ottenere un risultato di una bellezza unica nel suo genere.
Con un Phd all’Università degli Studi di Salerno in intelligenza artificiale applicata alla chirurgia micro-robotica, Oberlunar nel 2020 ha raggiunto un traguardo importante, diventare il primo compositore italiano ad utilizzare in modo estensivo tecniche di composizione generativa basata sull’AI.
Com’è nata la voglia di dedicare anni di studio ad una materia complessa come l’intelligenza artificiale?
Ero poco più che un ragazzino e, forse, come tutti i giovani con i miei interessi mi affascinavano la fantascienza e le tecnologie futuristiche.
Disegni della mia infanzia raccontano che disegnavo robot senzienti, forse ero condizionato dai cartoni dell’epoca, di quei super-eroi robotici che dominavano lo spazio dei miei giochi, tipo i power rangers, uomini che simbiotizzavano con robot alieni.
Ciò che mi ricordo è che mi appassionavano tantissimo quei film che già all’epoca avevano quel sapore di cinema vecchio ma che mi hanno molto segnato per la loro capacità visionaria.
Dalla fantascienza alla realtà
Ve ne sono due: “2001: Odissea nello Spazio” di Stanley Kubrick, dove l’occhio rosso della intelligenza artificiale di HAL 9000 ti fissava dall’alto della sua potenza computazionale e “Blade Runner” di Ridley Scott, dove le macchine si sono così evolute da diventare uomini replicanti e vengono utilizzati come tali, ovvero macchine.
Alla fine non era solo fantascienza, a 14 anni già programmavo e frequentavo gli ambienti sotterranei di quegli hackers e programmatori che nei late ‘90 scrivevano le cosiddette “electronic magazines”. Su quei magazines in formato .txt ci sta ancora qualche mio vecchio articolo che teorizzava come sviluppare una AI.
Teorie che già altri avevano ben navigato ed alle quali, seppur in ritardo, c’ero arrivato da solo.
Che cos’è l’AI
In realtà, il termine AI abbraccia diversi filoni, da quello che ragiona sui simboli, alla fase dello studio neuromorfico delle “capacità cognitive”, a quello che in italiano prende il nome di connettivismo; ovvero a quel tipo di AI che rappresenta la conoscenza su un grafo, una rete e che apprende da esempi più o meno complessi cose della vita reale per risolvere problemi più o meno difficili.
Se dovessi lasciare una più intima riflessione su cosa mi spinge e su cosa mi ha portato a fare quello che faccio posso dire senza indugio che sognavo un mondo in cui le macchine, gli esseri viventi e l’uomo non fossero più separati ma, fossero un tutt’uno, un essere unico, ibrido, senziente, realmente cosciente.
Ho sempre pensato che questo sarebbe stato un bel modo per lasciare un segno, per dare un contributo significativo all’umanità.
Perché l’intelligenza artificiale è una rivoluzione, una rivoluzione che cambierà il mondo e che ci porterà a nuove forme di coscienza liquida e vivente.
Al di là dei sogni, che forse danno una forte spinta motivazionale, la realtà è molto più complessa sebbene mi stia regalando diverse soddisfazioni.
Come sei riuscito ad unire due mondi apparentemente lontani, musica e AI?
Penso ci sia riuscito in un modo molto spontaneo. Ovviamente avere fatto quel percorso di studi e dopo, col mio lavoro da ricercatore, reputo sia stata una naturale conseguenza fondere e trasformare il “lavoro” in “passione” e la mia “passione” in “lavoro”.
Ci vuole una spinta motivazionale molto forte, dedicargli ore, giorni, anni, ormai nel mio caso.
Chi pensa alla musica forse, pensa a tutta quella regione ludica ma dietro ci sta la passione per lo studio del linguaggio musicale in sé, delle sue forme, delle sue influenze sul nostro sistema cognitivo, della sua espressione.
Quando ascolto i prodotti musicali delle mie AI, entro in spazi musicali mai concepiti e che l’AI ci permette di visitare nell’atto creativo.
La mia musica neurale è un esperimento di avanguardia e come tutti gli esperimenti ha la dignità di essere osservato e misurato nella maniera quanto più rigorosa possibile, ecco per me cosa significa essere “compositore”.
Le composizioni prodotte dall’AI lasciano esausti, interdetti, alienanti, basta ascoltare Destructured Bach, che ho pubblicato recentemente, per rendersene conto.
Destructured Bach
In “Destructured Bach” l’intelligenza artificiale viene utilizzata per comporre le melodie e le armonie sulla base del negato delle regole che la stessa ha appreso da Bach.
Pensate ad un insieme chiuso, ecco in quello spazio sono conservati tutti i principi armonico/melodici tramandati da Bach, bene l’AI ha composto musica prendendo tutto quello che stava fuori da quell’insieme.
Del resto l’obiettivo era quello di creare un album di musica che fosse generato interamente da una AI e che non simulasse nessun autore del passato.
Nel contempo avrei voluto che lo stesso album potesse essere ascoltato e apprezzato come se fosse stato composta da un musicista umano. Per fortuna non sono riuscito a realizzare il secondo obiettivo poiché avrebbe completamente offuscato il primo obiettivo ed il mio intento artistico.
Nell’immaginario collettivo l’AI richiama alla mente scenari futuristici con robot in grado di prendere delle decisioni, il più delle volte, nocive per l’uomo. Paura fondata?
La macchina ribelle. Dal latino “machina”, che nel suo significato etimologico significa la passerella dove vengono esposti gli schiavi. Quindi la paura è quella di pensare a degli schiavi che si ribellano al loro padrone.
Passiamo tutta una vita a liberarci dai nostri padroni o da presunti tali, che non mi spaventerebbe una AI che si ribella.
Significherebbe aver creato una vera e propria vita, una vera e propria forma autonoma capace di autocoscienza e scelte completamente consapevoli e libere da condizionamenti esterni.
Una macchina capace di estrapolare invece che interpolare. Sarei molto affascinato da questa distopia.
Non c’è nulla da temere, la realtà è molto diversa. Le macchine sono strumenti per gli uomini e le innovazioni tecnologiche che stiamo osservando di per sé non sono né nocive, né benefiche.
Gli umani e l’uso dell’AI
Tutto dipende dagli obiettivi dell’uomo. Se una macchina viene programmata per seminare morte e distruzione, la colpa non è della macchina in sè, è solo un braccio, la colpa è dell’uomo e del marcio che spesso cela dentro.
Sulla piattaforma Clubhouse hai svolto un esperimento di Turing, progettato insieme a Morgan, su circa 1000 utenti volontari. Com’è andata?
Giorni fa ho incontrato Morgan ed abbiamo fatto una lezione su AI, Musica e sulla MNA (Musica Neurale Artificiale).
Clubhouse è un social dove l’elemento principale è la voce, nel lockdown era strapieno di persone che parlavano cercando di combattere la solitudine.
In quel contesto è stato facile organizzare questi ascolti organizzati e raccogliere i pareri degli utenti.
Dopo qualche ora di ascolto gli veniva chiesto di darci dei pareri, delle considerazioni a riguardo. Molti hanno sempre percepito i prodotti della AI come complessi e alienanti.
Destabilizzanti a tratti perché incapaci di dare una direzione, anche lontanamente emotiva. Non trasmettevano né tristezza, né felicità, o forse entrambe le cose insieme. Dopo questo esperimento ho notato che mancava una cosa simile nella storia musicale umana e ho pubblicato per questa ragione Destructured Bach.
Secondo te l’intelligenza artificiale può avere un ruolo da protagonista nel futuro della musica?
Penso che man mano i nostri scenari, il nostro gusto cambia, si raffinano le nostre esigenze e si raggiunge uno stadio nel quale cercare qualcosa di nuovo, di diverso, qualcosa di mai esplorato è necessario per alimentare la nostra voglia di conoscenza.
La musica che facevo e ascoltavo 20 anni fa non è la stessa che faccio e ascolto ora. Del resto non è un discorso di evoluzione individuale, l’umanità si sta evolvendo in vari settori, compreso quello artistico.
Gli uomini puntano a crearsi da soli le proprie estensioni tecnologiche che poi programmaticamente simbiotizzano.
Sfiderei qualunque nato dopo i 2000 a sopravvivere senza un iPhone ed un iPad. Eppure, non era una cosa assolutamente necessaria fino a qualche anno fa.
Io, nato nell’86, ho vissuto tranquillamente per anni senza social, senza telefono, senza tutto quello che anche io ho parzialmente simbiotizzato.
Quello che voglio dire è che nelle AI generative non vedo un nemico, bensì uno strumento altamente tecnologico e comodo a supporto del compositore umano nella sua attività creativa e nel prossimo futuro sarà così che verrà a fantasmarsi.
Poi chi può dirlo, magari un giorno l’umanità perderà interesse per la musica creata da altri uomini e ci sarà spazio per lavori musicali come i miei.
Il futuro di Oberlunar
E’ imminente la pubblicazione di un lavoro con Antonio Gallucci e Marco Castoldi in arte Morgan. Racconterà la storia di una semplice linea melodica ed improvvisata dal Sax di Antonio Gallucci che incontra una orchestrazione massiva generata da 7 intelligenze artificiali diverse tra loro ma che lavorano in parallelo e su più strumenti in contemporanea. Io chiamo queste AI Obernauti.
Morgan, alla direzione artistica è stato spettacolare ed effettivamente l’album racconterà una storia musicale che si evolve netta lungo una fitta trama di eventi, intrisa di colpi di scena.
Sarà un controsenso, ma alcune volte ci sono dei suoni poco decifrabili, che presentano una certa ed inequivocabile forma.
Questo perché nel mondo delle AI anche i più semplici oggetti sonori non hanno più una posizione che riconosciamo, una posizione dove siamo abituati a vederli comunemente.
Del resto, la trama centrale del disco vedrà queste AI che man mano lottano per diventare uomini e l’uomo, il jazzista, Gallucci, che altresì cerca di proiettare se stesso ed adattarsi al mondo sonoro prodotto dalla macchina.
Si vanno a creare certi scenari ed interazioni che sono stracolmi di una tensione compositiva molto singolare, non è una cosa già sentita ed è un lavoro che sa di bello, di fresco; sembra tutt’altro che freddo e disumano.
In questo paradiso artificiale, sembra di ascoltare il replicante di Blade Runner nel suo intento di divenire uomo e l’uomo che forse scopre di essere un po’ più macchina di quello che pensava di essere.