Caro energia: dal Nord al Sud Italia la marginalità delle imprese vitivinicole è a rischio. Le cause sono da ricercarsi nella crescita dei rincari energetici e nella scarsità di materie prime senza precedenti. In questo contesto di crisi economico-finanziaria anche i produttori pugliesi stanno affrontando tale emergenza riguardante l’ingente aumento dei costi di produzione.
Il 2002 ha portato uno tsunami energetico per il comparto del vino Made in Italy, asset strategico per il valore di oltre 7 miliardi di euro di export. Causerà un rincaro medio a bottiglia del 10% a carico delle aziende e stimato a fine anno di circa 1,3 miliardi euro di costi aggiuntivi tra bollette elettriche da capogiro e trasporti.
Anche l’inflazione è pronta a fare la sua parte in negativo
Al surplus del caro energia, che spinge l’inflazione al 7,5% nell’Eurozona, vanno aggiunti gli aumenti dei “dry goods” ossia il materiale secco come carta, vetro, legno e altri – valutati circa 1 miliardo di euro – e i timori per le ripercussioni della guerra in Ucraina.
L’emergenza sul boom dei costi è stata lanciata da Federvini, che ha definito l’allarme bottiglie reale in quanto la mancanza di vetro interessa non solo i produttori vitivinicoli italiani ma riguarda la maggior parte del comparto enologico a livello globale.
La Puglia tra le regioni più colpite
Secondo la fotografia scattata da Confagricoltura Puglia gli imprenditori locali sono preoccupati per il prezzo dell’energia schizzato alle stelle e i problemi presenti nel settore Ho.re.ca, connessi al contrasto del Covid-19 e alla ripresa del periodo post-pandemico.
La competitività della filiera produttiva della Puglia – una delle principali regioni vitivinicole italiane – è adesso minacciata, se consideriamo che nel 2020 con 9 milioni di ettolitri si è aggiudicata il secondo posto per produzione di vino dopo il Veneto attestatosi a 11,7 milioni di ettolitri. Per approfondire le svariate ragioni che conducono le cantine pugliesi ad affrontare il rialzo dei costi di produzione del vino abbiamo discusso con Antonella Briglia, enologo e Customer Relationship Manager presso l’azienda Casaltrinità , una delle realtà vitivinicole più importanti della provincia di Barletta-Andria-Trani.
Caro energia: Intervista ad Antonella Briglia dell’azienda Casaltrinità
ll caro energia e l’aumento dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali, misti all’impennata del gas naturale che porta a un esborso maggiore per la bolletta dell’energia elettrica, si trasformerà in un incremento del prezzo finale del vino. Le aziende vitivinicole che vogliono rimanere sul mercato come possono fronteggiare questa tempesta energetica?
Il caro dei costi delle componenti energetiche compromette non poco la ripresa post-Covid. Le cause sono svariate e potremmo definirle congiunturali. Per tale motivo sono convinta che la soluzione vada ricercata su più fronti. I dati parlano chiaro: le aziende si sono viste recapitare bollette che in alcuni casi hanno sfiorato il 300% di aumento rispetto al trimestre precedente.
Diverse cantine sono state costrette a fermare momentaneamente le linee di produzione, mentre tante altre hanno concentrato i turni di lavoro nel fine settimana per sfruttare le ore in cui l’energia ha costi più bassi. Infine, crescono quelle aziende che, come noi, hanno scelto di diversificare l’approvvigionamento energetico utilizzando le radiazioni solari per convertirle in corrente. Le energie rinnovabili rappresentano indubbiamente un punto di forza del sistema lavorativo.
Secondo i dati ISTAT la Puglia è la seconda regione italiana per produzione di vino. In questa parte dell’Italia meridionale molte aziende si sono consolidate negli anni potendo contare su vini di qualità e capacità imprenditoriali. Quali strategie di contenimento del caro energia una cantina può adottare per non lavorare in perdita?
La Puglia si riconferma sul podio italiano per la produzione di vino in riferimento alla vendemmia appena trascorsa e resta il maggior produttore di vino nel mondo. Infatti, quasi un 1/5 del vino prodotto a livello globale, pari al 18,5%, viene dal nostro Bel Paese.
Nonostante queste ottime premesse, i produttori sono preoccupati per l’aumento del materiale secco quali bottiglie, cartoni, etichette, capsule che comprende tutto quello necessario per la vestizione del vino destinato al mercato della vendita come, ad esempio, i canali Horeca (hotellerie–restaurant–café) e GDO (Grande Distribuzione Organizzata).
L’aumento dei prezzi per i prodotti di origine fossile, assieme alla crescente necessità di contrastare cambiamenti climatici e inquinamento, spingono con forza verso una transizione energetica indispensabile che punti su fonti rinnovabili.
Secondo le previsioni anche nella GDO i rincari potrebbero colpire il prezzo di una bottiglia di vino. Ritiene che si possa trovare un equilibrio nelle trattative con i player della GDO per tutelare i consumatori?
La pandemia ci ha portati a cambiare le nostre abitudini e a prendere in seria considerazione che la quotidianità tanto odiata in precedenza ora è ricercatissima. Questo scenario sta mettendo a dura prova la tenuta di moltissime aziende del settore vitivinicolo e aumenti alla distribuzione, anche di pochi centesimi, sono significativi per chi è a monte della filiera per coprire i costi di produzione. Il mercato sembra reagire in modo diverso.
Mentre gli operatori del canale commerciale Horeca sembrano aver accettato le variazioni di prezzo, la GDO sembra opporre maggiore resistenza ai cambi di prezzo. Molti listini sono cambiati in brevissimo tempo e continuare ad aggiornarli significherebbe non fare bella figura con la clientela. Se la GDO volesse lasciare invariati i suoi profitti, vorrebbe dire che il consumatore finale pagherà tra il 10 e il 30% in più dallo scaffale. A mio avviso, questo è il problema peggiore.
Si prospettano così 2 ipotesi. Si può pensare di fare prodotti di indubbia qualità e, di conseguenza, è immaginabile la scarsa tutela del consumatore. L’altra possibilità è ridurre la produzione, ma vorrebbe dire diminuire anche il lavoro del personale e in alcuni casi eliminare operai con conseguente chiusura dell’attività. Noi, così come diverse aziende hanno cominciato a fare, abbiamo optato per un blend di opzioni. Nel rispetto dell’ambiente ci stiamo dirigendo verso scelte più responsabili e quindi bottiglie più leggere, etichette e cartoni provenienti da raccolta differenziata o da foreste controllate per ridurre al minimo gli aumenti e le emissioni.
Dal Nord a Sud della nostra penisola la fotografia delle aziende vitivinicole è la stessa. Le cantine, con le loro proprie forze, non riescono ad assorbire tutti questi aumenti. Ritiene che le misure adottate dal Governo con il Decreto-legge 21 marzo 2022, n.21, volto a contrastare le conseguenze della crisi ucraina sui mercati internazionali e il contenimento dell’aumento dei prezzi energetici e dei carburanti, possano bastare per fronteggiare il caro bolletta e non perdere quote di mercato per il vino italiano?
Il Consiglio dei Ministri ha varato un nuovo intervento per contenere i prezzi delle bollette ed evitare che il rincaro dell’energia si traduca in un minor potere d’acquisto delle famiglie e minore competitività delle imprese. Un disastro competitivo per un settore così trainante come quello del vino, inteso sia come consumo che come export. Ad ogni modo le aziende puntano su macchinari più efficienti, autonomia energetica con fonti rinnovabili, materiali più sostenibili.
I PNRR prevedono un budget di oltre 2 miliardi di euro per questo tipo di azioni: il cosiddetto Green Deal. In questo contesto non solo è a rischio il mark up aziendale ovvero la differenza tra il prezzo di vendita di un bene o servizio e il suo costo di produzione, solitamente espressa in percentuale del costo stesso, ma la sopravvivenza stessa delle imprese in quanto i rincari superano di gran lunga i margini.
L’aumento del prezzo finale della bottiglia a scaffale è tanto inevitabile quanto pericolosa visto che il consumatore finale subirà gli stessi aumenti in bolletta delle aziende per luce e gas. Altro rischio abbastanza probabile è quello che lo stesso consumatore potrebbe evitare di acquistare un bene non del tutto primario.
L’export del vino italiano nel mondo è cresciuto del 13% nei primi dieci mesi del 2021. Il caro energia e l’incremento dei costi aggiuntivi e dei trasporti porterà a forti ripercussioni nel commercio dei mercati esteri. L’Italia è molto più esposta ai rincari energetici, rispetto a Francia e Spagna che contano su politiche di contrasto più efficaci. Considerando che i valori di alcune DOC, in Toscana, in Veneto, in Piemonte e in Puglia, come il Primitivo di Manduria, si sono apprezzate anche fino al 50%, è evidente che le aziende vinicole italiane, comprese le pugliesi, siano costrette a ritoccare i listini con distributori e importatori. Questi ultimi comprendono le ragioni dei rialzi dei prezzi?
L’export del Made in Italy nei primi nove mesi del 2021 ha superato i 5 miliardi di euro, conquista posizioni in diverse categorie come quantità esportata e prezzo medio. La richiesta in diversi Paesi sale in maniera considerevole.
Nonostante questi dati, le aziende guadagnano sempre meno per i rincari del costo energetico e dei trasporti; il settore dell’export subirà un contraccolpo maggiore, intaccando proprio questo record. Ad ogni modo il caso degli aumenti dovuti agli interventi energetici e, in generale, di tutte le materie annesse e correlate al packaging, espone la situazione generale del vino ad un’ulteriore nuova problematica legata al posizionamento di alcune denominazioni che in forza del mutato quadro economico finale rischiano di non essere più appetibili per il consumatore.
Nell’immediato un migliore posizionamento potrebbe averlo il vino sfuso, ma di contro non a lungo termine. Secondo il Wine Net , una rete di sette cooperative italiane che ha costituito un osservatorio per analizzare la situazione di mercato, la situazione potrebbe essere meno critica sul piano export grazie al comportamento di alcuni importatori che, in gran parte, hanno accettato di ripartire in modo equo un rincaro previsto tra il 15 e il 18%, con un 8% sostenuto dalle cantine con il mancato guadagno, un 5% di aumento dei listini e il restante 5% di assorbimento da parte dell’importatore. Queste sono per lo più previsioni e nei prossimi mesi si vedrà l’evoluzione sia del mercato sia della guerra che sta affliggendo i nostri giorni.
La sostenibilità è la chiave di volta per arginare il problema del caro energia, soprattutto puntando sulle fonti rinnovabili. Quali sono le altre strategie che possono aiutare il settore vitivinicolo per quanto riguarda gli investimenti in tal senso, in virtù di un maggiore risparmio energetico e di una migliore gestione dell’efficienza in una cantina?
Ovviamente la chiave per arginare i costi è quella di puntare sul miglioramento dell’efficienza e quindi ridurre le emissioni, le quantità di fabbisogno energetico e migliorare le stesse prestazioni. Come ogni processo di trasformazione anche nelle diverse fasi di produzione in cantina molti costi sono legati al consumo di energia.
L’energia è fondamentalmente di natura elettrica ed è utilizzata con consumi molto variabili a seconda delle fasi di produzione. È essenziale essere a conoscenza di quali macchine e quali fasi della lavorazione assorbono energia per poter mettere in atto strategie di risparmio o accorgimenti che possono aiutare ad abbattere i consumi.
Ecco perché è importante la manutenzione degli impianti e dei diversi macchinari per attuare soluzioni valide a risparmiare significativamente l’energia ed abbattere i costi di produzione per restare competitivi a livello globale.